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17.8.12

Alimentazione Vegetariana 3: i grassi



In questo post parliamo degli acidi grassi. Il nome non li fa brillare per simpatia ma, a dispetto della fama, questi nutrienti sono molto importanti. Gli acidi grassi fanno parte del più ampio gruppo dei lipidi, quelli che comunemente chiamiamo grassi. Come tutti sanno, i grassi costituiscono un’importante riserva energetica e svolgono un’azione di cuscinetto per proteggere alcuni organi[1]. La quantità di lipidi che è preferibile assumere tramite i pasti è di circa il 30% delle calorie totali[2]: apportando la giusta quantità, riduciamo il rischio di sviluppare alcuni tipi di tumore, come mammella, colon, prostata, arteriosclerosi.
Oltre alla quantità, occorre fare attenzione anche alla qualità dei grassi che assumiamo. In generale, possiamo affermare che, se un grasso si presenta come solido a temperatura ambiente, è un grasso dannoso, da evitare. Essi sono prevalentemente di origine animale (come il burro e lo strutto), ma anche vegetali idrogenati. Essi contengono alte percentuali di grassi saturi e trans, che sono correlati con lo sviluppo di malattie cardiovascolari[3] e alcuni tipi di tumore[4]. Sebbene siano oli, quelli di palma e cocco sono da considerarsi in questo elenco di grassi dannosi: vengono utilizzati come il burro per la simile composizione acidica e consistenza, ma prezzo decisamente minore; inoltre sono tra le cause di deforestazione della foresta pluviale di Indonesia e Malesia.
I grassi che, al contrario, a temperatura ambiente rimangono liquidi sono detti più comunemente oli e, assieme a frutta secca e semi, contengono maggiori quantità di grassi buoni, quelli insaturi (mono e polinsaturi).
Attraverso l’alimentazione, noi assumiamo una serie di grassi essenziali, chiamati appunto acidi grassi, che il nostro organismo non può produrre autonomamente.
Gli acidi grassi polinsaturi sono molto importanti per il nostro organismo. Per esempio, l’acido eicosapentaenoico (EPA) fornisce un apporto significativamente protettivo contro le infiammazioni[5], alcuni tipi di tumore[6], alcune patologie mentali come la schizofrenia[7], ma soprattutto la depressione[8] e il comportamento suicida[9].
L’EPA, come pure il DHA[10], fanno parte degli acidi grassi omega-3 e fanno coppia con i “cugini” Omega-6. Reperire omega-6 è piuttosto semplice, perché sono ben diffusi (cereali integrali, legumi, semi e frutta secca); gli omega-3 sono invece meno diffusi, dunque occorre conoscere bene i cibi che li contengono. Proprio per questo motivo è possibile andare in carenza di omega-3 (leggi il post sulla ricerca al proposito) e questa difficoltà è stata osservata in modo particolare nei vegetariani. Persone che improvvisano una dieta vegetariana, aggiungo io. In quanto gli omega-3 possono essere trovati nei legumi, nella frutta secca, nelle alghe crude e nei semi: 50g di noci, sei cucchiaini di semi di lino macinati o due cucchiaini di olio di questi semi fornisce ogni giorno il fabbisogno di omega-3, grazie all’elevata presenza di acido α-linolenico (ALA, fabbisogno giornaliero: 4-6 g (ecco un approfondimento sui semi di lino)), che è un acido grasso essenziale precursore degli acidi grassi omega-3 a catena lunga (EPA e DHA): una sostanza è detta precursore quando, tramite il metabolismo, viene usata per crearne un’altra. Il noto carotene, per esempio, è il precursore della vitamina A. Per quanto riguarda le fonti dirette di EPA e DHA, solo le alghe forniscono un modesto apporto. Poiché gli omega-3 perdono le loro proprietà a contatto col calore, occorre consumare tutti questi cibi crudi e tenerli lontani da fonti di calore.
fonte: http://www.inran.it/

Nelle diete onnivore, gli omega-3 a catena lunga sono presenti nel pesce, come trota, sardina, aringa e salmone. Seppure l’assunzione di pesce è protettiva contro la mortalità per malattie cardiovascolari, questo effetto benefico è stato riscontrato solo in soggetti che hanno già problemi. Le persone che, da questo punto di vista, sono in salute, non hanno alcun beneficio aggiuntivo. Anzi, occorre ricordare che la presenza di pericolosi inquinanti nelle acque, come il mercurio, costituisce un punto a sfavore dei prodotti ittici. “Studi clinici sull’uso di diete a base di cibi vegetali, che includono olii vegetali ad elevato contenuto di Acidi Grassi Monoinsaturi ed Omega-3, mostrano una riduzione della mortalità del 50-70%, contro il 15 ed il 30% degli Studi clinici con l’uso di pesce ed olii di pesce”[11]. Inoltre, come abbiamo detto, le alte temperature, necessarie per la cottura del pesce, degradano gli omega-3. Uno studio dello stesso anno condotto su circa 15.000 soggetti ha evidenziato che, a fronte di una minore introduzione di omega-3 attraverso alimentazione vegetariana, i livelli di acidi grassi sono pressoché uguali a quelli riscontrati in persone onnivore o che includono solo pesce[13]. Questo risultato proverebbe che la conversione in acidi grassi omega-3 è più efficace nella dieta vegetariana che nella dieta onnivora: è quindi più facile ricavare gli omega-3 da fonti vegetali, tenendo conto anche del fatto che essi vengono degradati dal calore necessario per la cottura del pesce.
L’uso degli oli e della frutta secca è estremamente vario e dipende solo dai gusti personali a dalla creatività: l’olio di semi di lino ha un delicato sapore di noci e può essere aggiunto alle insalate o per condire a freddo altri cibi; la frutta secca è ottima sempre per arricchire un’insalata o nello yoghurt, senza dimenticare le eccezionali creme (di nocciole, mandorle, anacardi, arachidi, ecc.) che possono essere spalmate sul pane. Il bello della dieta vegetariana è che ci permette di assaporare cibi che normalmente non utilizziamo ma comunque di facile reperibilità.
Per concludere, vorrei ricordare una nota pubblicità di alimenti vegetariani che recita “Ho detto no al colesterolo, ma si a ….soya”. Ebbene, non è solo quella marca a rinunciare al colesterolo cattivo, quello LDL, che aumenta il rischio di arteriosclerosi, malattie cardiovascolari e ictus cerebrale[12]. Questo tipo di colesterolo si trova, assieme ai grassi saturi, solo ed unicamente nei cibi di origine animale. I cibi di origine vegetale ne sono privi. Una ragione in più per limitare, se non escludere totalmente, i cibi animali dalla nostra tavola.
Buon appetito!





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[1] T. W. Graham Solomons, Chimica organica, 2a ed., Bologna, Zanichelli, 2001
[2] Linee Guida per la Prevenzione di Tumori ed Arteriosclerosi, in: http://www.scienzavegetariana.it/opuscolo_ssnv_finale.pdf
[3][3] Joint WHO/FAO Expert Consultation (2003). Diet, Nutrition and the Prevention of Chronic Diseases (WHO technical report series 916). World Health Organization. pp. 81–94. Retrieved 2011-03-11.
[4] 4- Food and Drinks" (pdf). Food, Nutrition, Physical Activity, and the Prevention of Cancer: a Global Perspective. World Cancer Research Fund. 2007. pp. 139. Retrieved 2011-09-01.
[5] http://www.nlm.nih.gov/medlineplus/druginfo/natural/993.html
[6] Fernandez, E., Chatenoud, L., La Vecchia, C., Negri, E., Franceschi, S., (1999). Fish consumption and cancer risk. American Journal of Clinical Nutrition, 70, pp. 85-90.
[7] Peet, M., Brind, J., Ramchand, C.N., Shah, S., Vankar, G.K. (2001). Two double-blind placebo-controlled pilot studies of eicosapentaenoic acid in the treatment of schizophrenia. Schizophrenia Research, 49, pp. 234-251.
[8] Freeman MP: Omega-3 fatty acids in major depressive disorder. Journal of Clinical Psychiatry 2009, 70(Suppl 5):7-11.
[9] Song C, Zhao S (ottobre 2007). Omega-3 fatty acid eicosapentaenoic acid. A new treatment for psychiatric and neurodegenerative diseases: a review of clinical investigations. Expert Opin Investig Drugs 16 (10): 1627–38.
[12] Baroni, L. (2010). VegPyramid. Sonda, Casal Monferrato.
[13] Welch, A.A., Shakya-Shrestha,S., Lentjes, M.A.H., Wareham, N.J., Khaw, K. (2010). Dietary intake and status of n-3 polyunsaturated fatty acids in a population of fish-eating and non-fish-eating meat-eaters, vegetarians, and vegans and the precursor-product ratio of alpha-linolenic acid to long-chain n-3 polyunsaturated fatty acids: results from the EPIC-Norfolk cohort, American Journal of Clinical Nutrition November 2010, Volume 92, Number 5, Pages 1040-1051.

7.8.12

Alimentazione Vegetariana 2: calcio e vitamina D


"Se non bevi latte, da dove prendi il calcio?", chiedono preoccupate le nonne, quando sentono che un loro nipote è diventato vegetariano.
Ma pensiamoci un attimo seriamente: il latte è un alimento appropriato per un neonato. Noi siamo l’unico mammifero che beve latte da adulto e, inoltre, non è latte della nostra specie, che è ben diverso da quello di mucca; quest'ultimo, tra l'altro, serve a far crescere un vitello fino a 100kg in pochi mesi. In natura, quindi anche a noi, succede che dopo lo svezzamento il bambino inizia a perdere due enzimi, lattasi e rennina, che aiutano a digerire rispettivamente il lattosio (lo zucchero del latte) e la caseina (una proteina nel latte). L’intestino quindi si ribella e dà una bella scarica di colite: ho diversi amici che mi dicono "La mattina appena bevo latte e caffé devo correre in bagno". Sappiamo ora perché.
Il latte animale stimola inoltre la produzione della molecola IGF-1, un fattore di crescita che aiuta la proliferazione cellulare. Come possiamo immaginare, un neonato ha moltissimo bisogno di creare nuove cellule, perché è in crescita. L’adulto ovviamente no e sicuramente non ha bisogno dello stimolo di crescita di un vitello. Si è visto che alti livelli di questa molecola nell’adulto sono associate a più alta incidenza di alcuni tipi di tumore: "chi ha sviluppato un cancro della prostata aveva mediamente un più elevato consumo di latticini, e una più alta concentrazione, nel sangue, di IGF-I che dipende dal consumo di proteine, in particolare di quelle del latte" (www.europauomo.it).
Il miglior modo per aiutare l’osso è l’attività fisica regolare. Per quanto riguarda l’assunzione di calcio, questo minerale è presente in ogni cibo vegetale, in quantità variabile. Ma non basta assumere calcio, perché deve essere anche adeguatamente assorbito e conservato nell’osso. Quello che molti non sanno è che le diete ad elevato contenuto di proteine animali possono essere tra le cause di osteoporosi, perché le proteine animali (sia carne che latte e derivati) sono ricche di aminoacidi solforati e fosforo che acidificano il corpo. Il corpo vuole mantenere il proprio ph stabile e, per combattere l’acidosi, utilizza proprio il calcio. Come? Ricavandolo sia da quello che si assume con un bel bicchiere di latte, sia, se non è sufficiente, rubandolo all’osso, con un effetto chiamato "tampone". E la quantità di calcio in 100g di latte non è poi così elevata (vedi tabella sotto).
Sale, fumo, bevande gassate, scarsa attività fisica sono altri ladri di calcio.
Nelle diete vegetariane, le fonti sono: le verdure a foglia (ad eccezione di spinaci e bieta, che presentano un elevata quantità di ossalati) e le verdure della famiglia del cavolo, tutti i latti vegetali arricchiti di calcio, i semi di sesamo (e in particolare la loro salsa tahin, da consumare con però con moderazion per l'elevata quantità di sale), le mandorle e i fichi.
Grazie all'assenza di antagonisti, con i cibi vegetali circa il 60% del calcio presente viene assorbito dall’intestino, una quantità che è il doppio di quella del latte vaccino.
Sposa del calcio è la vitamina D: se la vitamina manca, perdiamo calcio con le feci. Questa vitamina è presente scarsamente nel cibo in generale, ma la natura, che non è una sprovveduta, ci ha fornito una fabbrica interna e l'unica materia prima di cui ha bisogno per creare vitamina D è la luce solare. Son sufficienti esposizioni brevi anche solo delle zone che normalmente esponiamo al sole, come il viso, il collo, le mani.
Purtroppo alcuni fattori interferiscono con la sintesi di vitamina D facendo da filtro, ma basta saperlo: la pelle scura, l’inquinamento, se l'area geografica in cui viviamo riceve pochi raggi.
In Olanda, per esempio, dove l’esposizione al sole è sicuramente minore che qui in Italia, è consigliato assumere un integratore. Ma si è osservato che nelle popolazioni nel nord europa l'enzima della lattasi continua a funzionare in molti soggetti, così che vi possa essere un maggior assorbimento del calcio contenuto nel latte.





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Riferimenti:
http://www.europauomo.it/it/doc/pdf/numero07/P22-23_Prevenzione.pdf
http://www.inran.it/
Baroni, L. (2010). VegPyramid. La dieta vegetariana degli italiani. Sonda, Casale Monferrato.
Veronesi, U., Pappagallo, M., (2011). Verso la scelta vegetariana. Il tumore si previene anche a tavola. Giunti, Milano.
Lewis, N.M., Marcus, M.S., Behling, A.R., Greger, J.L., (1989). Calcium supplements and milk: effects on acid-base balance and on retention of calcium, magnesium, and phosphorus. American Journal of Clinical Nutrition, 88, 1159-1166.
Zemel, M.B., (1988). Calcium utilization: Effect of varying level and source of dietary protein. American Journal of Clinical Nutrition, 48: 880-883.

6.8.12

Dieta Vegetariana e benessere psicologico





I benefici fisici di una dieta basata su cibi vegetali sono ben documentati. Poche ricerche, invece, hanno esplorato l’influenza della dieta vegetariana sulla nostra psiche. Tuttavia, recentemente sono stati effettuati tre studi al riguardo, segno che l’interesse verso il vegetarianismo è sempre crescente.

Una ricerca del 2010[1] pubblicata sul Nutritional Journal ha investigato sull’effetto di un ridotto introito di acidi grassi Omega-3 sull’umore (in questo post un approfondimento sugli acidi grassi).
Rispetto ai partecipanti onnivori, i vegetariani mostravano minori livelli di acidi grassi a catena molto lunga, che hanno un’influenza protettiva contro depressione e comportamento suicida[2]. Tuttavia questo non sembra influenzare negativamente l’umore, al contrario: i vegetariani hanno riportato emozioni significativamente meno negative degli onnivori, presentando uno stato dell’umore più positivo. Secondo gli autori, l’eventuale ridotta assunzione di acidi grassi Omega-3 potrebbe essere compansato dagli alti livelli di grassi polinsaturi totali e di acido arachidonico presenti nelle diete vegetariane. In realtà uno studio dello stesso anno condotto su circa 15.000 soggetti ha evidenziato che, a fronte di una minore introduzione di omega-3 attraverso alimentazione vegetariana, i livelli di acidi grassi sono pressoché uguali al di là del tipo di dieta[7].


La relazione tra dieta e umore è stata approfondita da un’altra ricerca di quest’anno[3]. Gli studiosi, questa volta, hanno osservato i cambiamenti che avvengono nel passaggio da una dieta onnivora ad una vegetariana. I vegetariani hanno riportato un tono dell’umore significativamente migliore degli onnivori. Inoltre, coloro che, partendo da una dieta onnivora, hanno adottato un’alimentazione vegetariana, riportano miglioramenti del tono dell’umore nelle due settimane successive. Questi cambiamenti positivi non sono stati osservati nel gruppo che ha limitato i prodotti animali al solo pesce. Questi risultati suggeriscono che una dieta che includa prodotti animali diretti potrebbe influenzare negativamente lo stato mentale.
La relazione tra stress percepito, soddisfazione di vita e abitudini alimentati è stata analizzata in una ricerca del 2011[4]. Lo stress è una forma di adattamento a sollecitazioni esterne: siamo abituati, tutti i giorni, a reagire tempestivamente a situazioni improvvise che turbano l’equilibrio, come schivare un motorino in strada o discutere sul resto sbagliato al bar. Il corpo reagisce all’evento (allarme) e poi tutto ritorna nella norma (resistenza). Quando le sollecitazioni sono continuative e sono percepite come spiacevoli, l’organismo continua ad andare in stato di allarme ma, non potendo continuare per troppo tempo, richiede una fase di resistenza che però deve coesistere con il continuo allarme. Tutto ciò non avviene senza conseguenze negative fisiche e malessere psicologico[5]. Questi fattori hanno una ricaduta negativa sulla soddisfazione che proviamo verso la nostra vita: più aumenta lo stress che percepiamo, meno soddisfatti siamo della vita che conduciamo. Diverse sono le aree in cui possono crearsi condizioni stressanti, a partire dall’individuo (con le sue peculiari caratteristiche, come il temperamento), la società in cui vive e l’ambiente lavorativo[6]. Possiamo influire su stress e soddisfazione anche col nostro stile di vita, e, in particolare, con l’alimentazione, che fa parte dei fattori che influenzano la qualità della vita. Nello studio in questione, i vegetariani riportano maggiore soddisfazione per la loro vita e minore livello di stress percepito rispetto agli onnivori.
Per concludere: le evidenze scientifiche suggeriscono che l’adozione di una dieta vegetariana abbia numerosi benefici sul benessere psicologico, a cominciare dalla fase di cambiamento di dieta: i vegetariani, infatti, riportano maggiore soddisfazione per la propria vita, minori livelli di stress percepito, stato dell’umore ed emozioni più positivi rispetto agli onnivori.
I fattori specifici che determinano questi risultati positivi non sono ancora noti. Probabilmente si tratta sia di fattori nutritivi presenti in grande quantità nelle diete vegetariane, sia di fattori intrinseci all’adozione e al mantenimento di una dieta vegetariana: l’attenzione ad uno stile di vita sano e ad un’alimentazione che ha conseguenze positive sulla propria salute, sul benessere degli animali e sul pianeta in generale. 

(prima immagine: Magritte "La Prete Marie")








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[1] Beezhold, B. L., Johnston, C. S., Daigle, D. R., (2010). Vegetarian diets are associated with healthy mood states: a cross-sectional study in Seventh Day Adventist adults. Nutritional Journal, 9:26.
[2] Song, C., Zhao, S., (2007). Omega-3 fatty acid eicosapentaenoic acid. A new treatment for psychiatric and neurodegenerative diseases: a review of clinical investigations. Expert Opinion on Investigational Drugs, 16 (10): 1627–38.
[3] Beezhold, B. L., Johnston, C. S., (2012). Restriction of meat, fish, and poultry in omnivores improves mood: A pilot randomized controlled trial. Nutritional Journal, 11:9.
[4] Jain, J., Jinger, A., (2011). Stress And Life Satisfaction Impact of Food Habits. International Referred Research Journal, 3-27.
[5] Selye H., (1956) The Stress of life. McGraw-Hill (Paperback), New York.
[6] Pestonjee, D.M., (1987) "A Study of role stress in relation to type A and anger" working paper No. 670, Ahemdabad : IIM 2.
[7] Welch, A.A., Shakya-Shrestha, S., Lentjes, M.A.H., Wareham, N.J., Khaw, K.T., (2010). Dietary intake and status of n-3 polyunsaturated fatty acids in a population of fish-eating and non-fish-eating meat-eaters, vegetarians, and vegans and the precursor-product ratio of alpha-linolenic acid to long-chain n-3 polyunsaturated fatty acids: results from the EPIC-Norfolk cohort. American Journal of Clinical Nutrition, 92-5, pp. 1040-1051.
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