Translate

22.12.12

E venne l'inverno...


Parafrasando il titolo dell'ultimo album di Enya, approfitto per allineare il mio blog alla stagione appena subentrata. Oggi, 22 dicembre 2012, inizia la nuova parte del ciclo in cui le ore di luce guadagnano pian piano terreno dopo la notte più lunga dell'anno, quella del Solstizio d'inverno. Da oggi, tutto si prepara lentamente al risveglio, anche se il freddo accumulato fino ad ora continuerà ad avvolgere le nostre latitudini con questa atmosfera pacata che invoglia al sonno.

Celebro la stagione invernale con due haiku, ovvero la famosa forma poetica giapponese. Le caratteristiche dell'haiku, così differente dalla nostra poesia occidentale, è la brevità: solamente tre versi formati da 17 sillabe. Le parole, pulite e semplici, scattano una fotografia di un attimo, un'immagine della natura priva di ricorsi retorici ma pregna di significato personale che ognuno può dare. L'eco lasciata dalle parole dell'haiku permette al lettore di prendersi il tempo di riflettere e lasciare che i versi si sciolgano nella sua mente.
Come l'inverno.


Languore d'inverno:
nel mondo di un solo colore
il suono del vento.

Matsuo Basho (1644 – 1694)
  



C'ero soltanto.
C'ero. Intorno
cadeva la neve.
 

Issa (1763-1828) 

21.12.12

Cercansi volontari per studio nutrizionale nelle province di Parma, Bologna, Torino e Bari



Cari lettori,

invitiamo tutti coloro che risiedono nelle province di Parma, Bologna, Torino e Bari a partecipare come volontari a questo interessante studio promosso dalle università delle città indicate.

Lo studio si intitola:
I microrganismi intestinali dei latto-ovo-vegetariani e vegani sono diversi da quelli degli onnivori?

*I presupposti*

Gli alimenti costituiscono un importante serbatoio di microrganismi e forniscono nutrimento non solo per l'uomo ma anche per quei microrganismi intestinali che sono presenti nel nostro corpo. Negli ultimi anni, la ricerca scientifica ci suggerisce che il microbiota intestinale, ovvero i microrganismi presenti nel nostro intestino, ha assunto un ruolo centrale nel mantenimento della nostra salute poiché sembra che i microrganismi residenti aiutino a bilanciare funzioni vitali per l'ospite, tra cui l'immunità e lo stato nutrizionale. E' possibile però che questa relazione positiva tra un individuo e il suo microbiota possa alterarsi e questo potrebbe favorire alcune patologie come obesità, diabete, aterosclerosi e malattie infiammatorie intestinali.
La composizione del microbiota intestinale differisce tra gli individui in funzione del genere, dell'età, di fattori genetici e ambientali e delle abitudini alimentari. Si ritiene che le diete a base vegetale possano positivamente influenzare il microbiota intestinale, essendo caratterizzate dal consumo di alimenti vegetali ricchi di componenti indigeribili, e questo potrebbe proteggere il loro organismo. Per verificare che i latto-ovo-vegetariani e i vegani hanno un microbiota diverso e potenzialmente più protettivo di quelli a dieta onnivora, abbiamo bisogno del tuo aiuto!

*Diventa volontario*

Puoi partecipare a questo studio nazionale se sei latto-ovo-vegetariano o vegano da almeno un anno, abiti vicino a Parma, Torino, Bologna o Bari, hai tra 30 e 50 anni, sei normopeso, non assumi abitualmente farmaci e supplementi alimentari o farmacologici di probiotici e prebiotici, non hai assunto antibiotici negli ultimi 3 mesi, non sei affetto da patologie gastrointestinali (morbo di Crohn, colite ulcerosa, sindrome da contaminazione batterica, stipsi, malattia celiaca, colon irritabile) e metaboliche (diabete di tipo 1 e 2, malattie cardio e neurovascolari, tumori, malattie neurodegenerative, artrite reumatoide, allergie), non sei in gravidanza e/o allattamento.

*Cosa devi fare durante lo studio?*

Lo studio dura 3 settimane durante le quali ti verrà chiesto di racco gliere i) un campione di saliva, urine e feci alla fine di ogni settimana e ii) le tue abitudini alimentari per 1 settimana tramite un diario in cui segnerai tutto quello che consumi (alimenti e bevande).

*Perché è importante il progetto?*

Attraverso questo progetto di ricerca si potrà capire se effettivamente la dieta abituale influenza i microrganismi nel nostro intestino e in quale modo.

*Cosa otterrai in cambio se diventi volontario*

Oltre a informarti sui risultati finali, ti faremo una valutazione nutrizionale della tua dieta e ti daremo consigli dietetici su come eventualmente migliorarla.

*Cosa devi fare per diventare volontario?*

Contattaci tramite mail per darci la tua disponibilità e avere maggiori informazioni sullo studio.
I referenti scientifici per l'arruolamento nelle varie sedi sono:
Parma: Nicoletta Pellegrini, nicoletta.pellegrini@unipr.it
Bologna: Silvia Torroni, silvia.turroni@unibo.it
Torino: Luca Cocolin, lucasimone.cocolin@unito.it
Bari: Raffaella Di Cagno, raffaella.dicagno@uniba.it

15.12.12

La natura che decora 2 - Natale


Siccome ho cambiato casa e non ho più gli oggetti che ho usato l'anno scorso, ho deciso di non andare in nessun negozio per decorae la mia casa per le feste. Mi bastato andare in bici in un boschetto qui vicino e riutilizzare alcuni cartoni e riviste che erano nel secchio del riciclo della carta. Praticamente non ho spento un centesimo! Natura, creatività e riciclo! BUONE FESTE!









4.12.12

Videogame educativi contro l'aggressività





Qualche giorno fa, io ed alcuni amici psicologi abbiamo cominciato a discutere della tecnologia, dei videogiochi e del loro effetto su di noi, in particolare i giovani.
La presenza dell’informatica nella nostra vita è un fatto ormai assodato quanto quello che sia cresciuta troppo rapidamente. Da qui la necessità di dare rotte specifiche per saper utilizzare al meglio questo strumento dalle enormi potenzialità. Rotte che la scuola e gli psicologi dell’educazione sono chiamati a disegnare per rendere competenti in materia sia gli insegnanti che i genitori, perché non bisogna dimenticare che una volta suonata la campanella i bambini tornano a casa e anche lì devono trovare un ambiente ideale alla loro educazione.
La nostra discussione è stata piuttosto vivace e partecipata, snodandosi su vari aspetti dell’argomento in questione.
Il tema è stato approcciato parlando del gioco in generale, esplorando questo argomento anche in altre civiltà odierne meno evolute tecnologicamente di noi: ne è emerso che il gioco è una naturale attività umana che si conserva anche in età adulta: seppure spesso i gioco dei “grandi” sono diversi da quelli dei più piccoli, lo spirito di ricerca di divertimento, confronto, gareggiamento ed evasione è lo stesso.
Facendo quindi un confronto fra i giochi del passato e quelli del nostro tempo tecnologico, si è andata evidenziando una notevole differenza: i giochi dei nostri nonni e genitori vengono definiti più spensierati, liberi, creativi, naturalmente educativi e socializzanti. È soprattutto lo stare fuori all’aria aperta il pregio principale di questi giochi ma, come una mamma ci ha fatto notare, oggi i genitori sono tutti più ansiosi e apprensivi e, soprattutto nelle grandi città come Roma, lasciare uscire i propri bambini sotto casa è una cosa impossibile mentre accompagnarli al parco con amici è molto difficile a causa della mancanza di tempo che tutti indistintamente denunciamo.
Al contrario, ciò che è stato sottolineato nei giochi tecnologici di oggi sono stati i difetti, destinando l’analisi però soprattutto ai videogiochi verso i quali la maggior parte di noi rivela una particolare intolleranza e contrarietà. In essi vengono visti: la violenza, spesso utilizzata come mezzo per arrivare a degli obiettivi e mostrata come qualcosa di piacevole e priva di conseguenze reali; l’isolamento che il bambino (o il ragazzo o l’adulto) subisce, in quanto il videogioco è la maggior parte delle volte un confronto fra una persona ed una consolle; la mancanza di creatività dovuta all’uso di un universo già progettato e soprattutto pressoché ripetitivo.
Molti si sono chiesti come riusciamo a stare per ore incollati, quasi ipnotizzati, d’avanti allo schermo mentre videogiocano: la risposta è che viene coinvolto quasi esclusivamente l'emisfero sinistro del cervello, sede dell'elaborazione logico-razionale dell'informazione e ricerca i nessi di causa-effetto. Il videogioco è fatto in modo da avere una sequenza di tasti che, se premuti nel giusto ordine, danno una risposta positiva: questo meccanismo, premio-punizione, innesca una risposta compulsiva che fa ricercare nuovamente la sensazione di vittoria, acquisendo abilità nel gioco e vedendo soddisfatte continuamente le richieste di vittoria. Questo meccanismo è quello alla base della produzione di un neurotrasmettitore, la dopamina, una sorta di ricompensa che il cervello distribuisce provocando una sensazione di piacere che fa desiderare nuovamente quella cosa.
Poiché l’argomento ci stava prendendo, siamo andati su internet per trovare, grazie a pubblicazioni sull’argomento, dei pregi che il videogioco porta con sé: lo sviluppo del ragionamento induttivo, grazie al quale il bambino sviluppa nel corso del gioco l’esperienza che gli permette di organizzare le informazioni prima caotiche e trarne un senso e delle regole; lo sviluppo della capacità di coordinazione delle prospettive; molti videogiochi, come quelli di ruolo, richiedono (l’incremento di) una capacità creativa e di scelta anche complessa del tipo di azione da eseguire momento dopo momento.
Accanto ai videogiochi creati dalle case produttrici in primo luogo per far soldi, vi è un altro tipo di espressione della tecnologia nel gioco, ovvero i software didattici.  Verso questi programmi, spesso semplici solo nell’apparenza, tutti noi abbiamo espresso pieno appoggio e accordo. Ed ecco che le principali pecche notate nei videogiochi sono state riabilitate nei software didattici che tutti noi abbiamo giudicato ottime modalità di studio, spesso le migliori per riaccendere la motivazione in bambini che hanno difficoltà a misurarsi con la tradizionale quanto limitata modalità di trasmissione della conoscenza da insegnante onnisciente a scolaro tabula rasa. Personaggi animati che spiegano ai bambini le frazioni, dvd che insegnano l’inglese, software che insegnano la storia e che simulano situazioni della vita reale che sono impossibili da esperire in maniera diretta: tutti questi programmi sono spesso poco utilizzati dalla scuola di oggi, che vede insegnanti troppo spesso irrigiditi nel loro ruolo tradizionale.

La conclusione a cui siamo arrivati è questa: i bambini di oggi (ma un po’ anche noi stessi) sono figli del mondo moderno e per questo non è possibile prescindere la loro crescita dagli strumenti tecnologici che ogni giorno vengono sviluppati. I computer sono per loro natura attraenti, pieni di suoni, luci, animazioni che attirano il cervello dei bambini così affamato di nuovi stimoli. Quindi il passo decisivo è quello di responsabilizzare i genitori e gli insegnanti rispetto all’uso delle tecnologie, non facendo del pc, come della televisione, un babysitter ma insegnando ai bambini ad utilizzare in maniera giusta questi importanti strumenti. I genitori, per esempio, dovrebbero informarsi sui videogiochi che i bambini utilizzano, partecipare alla scelta dei titoli e non comprarli solo perché il bambino lo vuole, senza analizzarne i contenuti, con la scusa che “io non ci capisco niente di computer”. Molti software educativi sono in commercio e pubblicizzati e dunque è facile averne a disposizione, indirizzando quindi la voglia di pc dei propri figli in qualcosa di davvero utile, senza però negare loro anche un videogioco senza finalità educative, perché c’è bisogno anche dell’evasione: sarebbe importante, in questo caso, giocare insieme, per discutere su quali sono i punti positivi del videogioco, condannare quelli negativi ed evidenziare quelli che, nella realtà, avrebbero ben altre conseguenze. Nota molto importante, inoltre, è la socializzazione che può passare anche attraverso l’uso comune tra piccoli amici del computer. L’importante è poi uscire tutti insieme all’aria aperta, in un parco cittadino, per toccare con mano l’ambiente esterno, quello reale, dal quale non bisogna mai alienarsi.
Gli insegnanti, dal canto loro, dovrebbero (e potrebbero loro stessi) documentarsi e formarsi sulle nuove tecnologie, magari mettendo a disposizione in classe il loro portatile se la scuola non è fornita di pc. Ormai tutte le riviste di aggiornamento per i professori di tutte le scuole parlano dei software didattici e del loro uso nella scuola. L’insegnante ha il compito quindi di mostrare un lato più giocoso dell’apprendimento, più piacevole che passa attraverso uno strumento che i bambini conoscono ormai benissimo e che si può utilizzare anche in classe con fini educativi; l’importante è analizzare poi tutti insieme le abilità acquisite e i processi cognitivi attivi durante l’esecuzione del gioco, compito che va a sviluppare nel bambino il senso critico e l’analisi di quello che si sta facendo, rendendolo partecipe attivo, e non passivo, del programma educativo che qualcun altro ha realizzato per loro. Questo è fattibile alternando a questo tipo di software anche quelli in cui la creatività è messa alla prova, in cui è il bambino stesso a costruire il programma. Educazione in questo senso significa rendere il bambino ogni giorno consapevole di tutte le offerte della nuova tecnologica, non solo di quelle a livello ludico che fanno passare il tempo e divertono senza un grande impegno cognitivo.

Concludo questo mio post con una ricerca di quest’anno che parla proprio della relazione tra videogiochi ed educazione. Alcuni bambini con gravi difficoltà psichiche sono stati invitati da alcuni ricercatori ad “divertirsi” con uno speciale videogioco il cui obiettivo era attaccare le astronavi nemiche e fare attenzione a non colpire quelle della propria squadra. Durante il gioco è stato osservato il battito cardiaco: nel momento in cui i battiti superavano una certa soglia, i bambini non potevano più sparare le navi nemiche. Per poter sparare di nuovo, i bambini dovevano quindi imparare a calmarsi, e a rimanere calmi durante il gioco.
Dopo sole cinque sessioni questo tipo di trattamento si è dimostrato più efficace di quelli classici, come la terapia cognitivo-comportamentale, esercizi di rilassamento o sviluppo delle abilità sociali. I bambini hanno riportato che l’emozione di rabbia è diminuita e che questo tipo di terapia stava davvero funzionando.
Ecco un modo molto intelligente di utilizzare i videogiochi.

Ducharme, P., Wharff, E., Kahn, J., Hutchinson, E., Logan, G. (2012). Augmenting anger control therapy with a videogame requiring emotional control: A pilot study on an impatient psychiatric unit. Adolescent Psychiatry, 2(4), 323-332.

2.12.12

Gli orientamenti sessuali e l'omofobia




Il 30 novembre a Venezia un ragazzo di 16 anni si è fatto forza e, assieme alla sua famiglia, ha denunciato i compagni di scuola colpevoli di bullismo omofobico. Solo cinque giorni prima a Roma una donna transessuale è stata picchiata a sangue per aver chiesto un passaggio con troppa insistenza. Mentre ancora ricordiamo il suicidio del ragazzo di 15 anni che si è impiccato a seguito delle persecuzioni omofobiche sempre da parte dei compagni di classe.
Questa non è una situazione di emergenza, non è una situazione stra-ordinaria. È la quotidianità in un Paese in cui l’unico orientamento sessuale possibile è quello eterosessuale.
Ma in Paesi come l’Italia non importa se tu sei veramente gay/lesbica/transgender, quello che importa è come gli altri ti percepiscono: se i tuoi comportamenti non rientrano negli stereotipi culturali di maschio vs femmina, potresti essere vittima di omofobia. In Paesi come l’Italia tuo figlio, a scuola, potrebbe essere chiamato “frocio”, essere vittima di attacchi verbali e fisici, e probabilmente tu non lo saprai mai.
Più avanti faremo un confronto tra l’Italia e la realtà Europea. Dopo questa introduzione, andiamo più a fondo nell’argomento.


1 Gli orientamenti sessuali

La teoria di Alfred Kinsey spiega l’orientamento sessuale come un continuum, una linea ai cui estremi vi sono l’omosessualità e l’eterosessualità: gli individui (con i loro pensieri, comportamenti, attitudini, ecc.) si dispongono in un punto qualsiasi di questo continuum, ed è probabile che questa posizione cambi durante l’arco della loro vita.
La stima adottata ufficialmente dall'Organizzazione Mondiale della Sanità per valutare l'incidenza dell'omosessualità esclusiva all'interno della popolazione umana è del 5% e proviene da una ricerca risalente al 1947, effettuata dal biologo e sessuologo Alfred Kinsey. A questo dato, che si riferisce al numero di persone che avevano avuto rapporti esclusivamente omosessuali, dovremmo accostare un ulteriore 5% che è invece il numero di soggetti che, pur avendo avuto rapporti con entrambi i sessi, ne avevano avuti soprattutto con persone del loro stesso sesso. Il cosiddetto Rapporto Kinsey è una ricerca molto importante per l'elevato numero del campione e perché si basa sui comportamenti effettivi e non sull'opinione del soggetto. Le numerose critiche avanzate, quasi esclusivamente di stampo moralistico e religioso, sono state smentite da studi successivi che hanno confermato la correttezza dei metodi di Kinsey. Per esattezza, i risultati sono i seguenti: il 46% dei soggetti maschi ha avuto rapporti sessuali di diverso tipo con persone di entrambi i sessi; il 37% ha avuto almeno una volta un'esperienza omosessuale; il 10% ha avuto esclusivi rapporti omosessuali per almeno tre anni tra i 16 e i 55 anni (Kinsey et al. 1998a). I dati relativi alle donne sono: l'11% ha avuto rapporti indistintamente omo ed eterosessuali tra i 20 e i 35 anni; nella stessa fascia d'eta, la percentuale di donne che hanno avuto esclusivi rapporti omosessuali è dal 2 al 6% (Kinsey et al., 1998b).
L'intero mondo scientifico, quindi, afferma che:
tutti gli orientamenti sessuali hanno la stessa dignità d’essere e siano tutti allo stesso modo espressione della natura degli esseri viventi (non solo degli esseri umani);
al momento, non è stata scientificamente trovata una "causa" definitiva né genetica né di altro tipo per gli orientamenti sessuali: la teoria più accreditata è che sia una risultante di interazione tra genetica ed esperienza, come moltissimi aspetti degli esseri viventi;
 l'orientamento sessuale non è una scelta: l'individuo non sceglie di sentirsi in un certo modo, di sentirsi sessualmente ed affettivamente attratto da un maschio piuttosto che da una femmina o da entrambi. Quello che l'individuo prova nel suo profondo è l'espressione del suo orientamento sessuale.



2 Cos’è l’omofobia

Il termine omofobia è stato coniato nel 1971 da Kenneth Smith e rappresenta una forma atipica di fobia che si riferisce ad una serie di reazioni fisiologiche e psicologiche involontarie alla presenza di persone con orientamento omosessuale. È considerata una forma atipica di fobia in quanto «molti comportamenti e affermazioni comunemente considerati omofobi non sono principalmente basati sulla paura o l’imbarazzo, ma piuttosto sul pregiudizio e la disapprovazione» (Lingiardi, 2007a, pag. 47). Allontanandosi quindi dall’irrazionalità della fobia classica, l’omofobia è piuttosto un fenomeno sociale al quale l’individuo è esposto fin dall’infanzia, in quanto immerso in contesti familiari, scolastici e, più in generale, sociali nei quali l’orientamento accettato è quello eterosessuale, in una cultura eterosessista in cui ogni altro orientamento sessuale è un argomento tabù, bersaglio di denigrazione e derisione e l’omosessualità può essere considerata peccaminosa, ridicolizzabile, una malattia (Lingiardi, 2007a).
Secondo diversi autori, la parola “omofobia” è riduttiva, nonché poco corretta, in quanto è questo un fenomeno non solo psicologico, ma anche sociale, culturale, legale ed etico (Raja & Stokes, 1998; Blumenfeld, 1992). Nella fobia, come comunemente definita, l’individuo è consapevole della sua irrazionalità ed inadeguatezza e, di conseguenza, vorrebbe liberarsene. Nel caso dell’omofobia, al contrario, l’individuo ritiene normale e giustificata la sua reazione, la quale non compromette il suo funzionamento sociale, e non avverte il bisogno di cambiare il suo atteggiamento. Inoltre, l’omofobia può esprimersi non solo con l’evitamento, come nel caso della fobia classica, ma anche con comportamenti attivi di avversione o deliberata aggressività. Inoltre, proprio per il suo carattere multidimensionale, l’omofobia può evidenziarsi in taluni campi di opinione, mentre può essere assente in altri: ad esempio, una persona potrebbe essere a favore dell’estensione di alcuni diritti alle persone omosessuali, ma avere reazioni negative nell’interazione diretta con alcune di esse. Le ragioni appena illustrate avrebbero quindi convinto alcuni studiosi a parlare di “omonegatività”, in cui la dimensione psicologica di “fobia” è solo uno degli aspetti da considerare (Prati, Pietrantoni, Buccoliero, Maggi, 2010; Lingiardi, 2007a).
I risultati delle ricerche mostrano che gli atteggiamenti omofobici si riscontrano maggiormente verso gli omosessuali del proprio sesso e nella popolazione maschile più che tra le donne (Prati, Pietrantoni, & D’Augelli, 2011; Lingiardi, Falanga, & D’Augelli, 2005) . La spiegazione di questo fenomeno è stata indicata in tre motivi: la socializzazione tra maschi è maggiormente vincolata a rigidi schemi e prevede meno variabilità rispetto a quella tra femmine e tra individui di sesso opposto; la convinzione comune è che ruolo di genere culturalmente stabilito e orientamento eterosessuale coincidano più negli uomini, mentre questa sovrapposizione non è necessaria nelle donne; il ruolo di genere maschile porta vantaggi sociali essendo identificato con potere, popolarità, prestigio (Prati et al, 2010).
Unitamente agli ultimi due punti, occorre ricordare che, stereotipicamente, il maschio eterosessuale considera la donna come preda ed oggetto sessuale. L’essere a sua volta considerato obiettivo dell’attenzione da parte di altri maschi metterebbe in pericolo la cultura eterosessista in cui il maschio è, appunto, il sesso dominante (Keel, 2005; Chodorow, 1999). Nonostante questo concetto di mascolinità stia attraversando un periodo di mutamento, studiosi di antropologia e sociologia hanno osservato come “essere maschi” nella società occidentale moderna si articoli più con la negazione che con l’affermazione di alcune caratteristiche: non essere femminile, effeminato, docile, dipendente, sottomesso, ecc. Queste caratteristiche sono stereotipicamente viste come, appunto, espressione di orientamento omosessuale, in una errata sovrapposizione tra ruolo di genere, identità  di genere ed orientamento sessuale (Dimen & Goldner, 2006; Herek, 1996).
Nel caso di individui appartenenti a minoranze, ad esempio etniche o religiose, pregiudizio e discriminazione vengono generalmente controbilanciati dal supporto della propria famiglia e rete sociale. Nel caso di persone con orientamento omosessuale, tuttavia, questa forma di supporto viene solitamente a mancare. Un significativo numero di persone nasconde il proprio orientamento omosessuale dai parenti per evitare di sperimentare la discriminazione all’interno della propria stessa famiglia. La mancanza di supporto rende gli attacchi discriminatori seri fattori rilevanti e misurabili di stress (Saraceno, 2003; Moss, 2003).

Il minority stress si riferisce allo stress derivante dall’appartenere a un gruppo di minoranza: può accadere che lo sviluppo psicologico delle persone omosessuali ha segni di stress continuativo conseguenza di ambienti ostili o indifferenti a episodi di stigmatizzazione e violenza omofobica. Meyer (per es. Meyer & Northridge, 2006) indica tre dimensioni del minority stress sperimentato dalle persone con orientamento omosessuale: omofobia interiorizzata, stigma percepito, esperienze di discriminazione e violenza subite. La ricerca indica una correlazione positiva tra il minority stress e cinque indicatori di disagio psicologico: sintomi depressivi, senso di colpa, problemi relativi alla sfera sessuale, comportamenti e atteggiamenti pericolosi relativi alla possibilità di contrarre il virus dell’Aids, pensieri/tentativi di suicidio. Individui gay con attaccamento ansioso percepiscono più alti livelli di discriminazione e sperimentano una maggiore vulnerabilità a causa della difficoltà di sentirsi degni di approvazione da parte di se stessi e degli altri (Wei, Mallinckrodt et al., 2005). Una ricerca condotta da Rivers (2004) ha evidenziato un’associazione tra minority stress e sintomi da stress postraumatico in soggetti che hanno subito atti di bullismo omofobico.


3 Omofobia interiorizzata

L’omofobia è appannaggio non solo degli individui con orientamento eterosessuale. Infatti anche le persone omosessuali crescono nella stessa cultura in cui l’eterosessualità è trasmessa come qualcosa di scontato e obbligatorio. È questa la forma interiorizzata dell’omofobia, che si manifesta con “sentimenti e atteggiamenti negativi (dal disagio al disprezzo) che una persona omosessuale può provare (più o meno consapevolmente) nei confronti della propria (e altrui) omosessualità” (Lingiardi, 2007a, pag. 51). I suddetti sentimenti e atteggiamenti negativi possono essere riassunti come segue: bassa autostima e accettazione di sé, sentimento di vergogna, inferiorità e inadeguatezza, senso di colpa (anche nei confronti dei propri genitori), la convinzione di essere rifiutati per il proprio orientamento sessuale e che questo sarà fonte di insoddisfazione nella propria vita. Secondo Prati (et al., 2010), la persona omosessuale che cresce in un contento sociale di accettazione  e supporto da parte di genitori, docenti, coetanei, familiari, costruirebbe positivamente la propria identità e questo aiuterebbe a non sviluppare omofobia interiorizzata o ne favorirebbe un’elaborazione efficace.

4 Diritti Europei

L’articolo 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea vieta la discriminazione fondata su un esteso ventaglio di motivi, incluso l’orientamento sessuale. Numerosi sono gli inviti da parte del Parlamento Europeo agli Stati membri all’introduzione di una legislazione antidiscriminatoria, all’estensione di pari diritti alle coppie omosessuali, alla concessione di asilo politico nel proprio territorio e alla garanzia al diritto di immigrazione da parte dei partner dello stesso sesso.
Fin dal 1973 la Commissione Europea ha monitorato l’evoluzione dell’opinione pubblica su vari argomenti con l’obiettivo di supportare la preparazione di documenti, programmi e nella valutazione del lavoro svolto. Uno degli strumenti più importanti al proposito è l’EuroBarometer, che fornisce importanti dati nazionali e di confronto tra i vari Stati dell’Unione Europea. Diverse sono state le ricerche sulla situazione, all’interno degli Stati membri, delle persone con orientamento omosessuale.
Ci concentreremo ora sulla situazione nei Paesi Bassi e in Italia, i due Stati membri dell’Unione Europea analizzati e confrontati nel corso di questa analisi.


4.1 Fotografia dei Paesi Bassi

Nei Paesi Bassi l'omofobia, intesa come atto violento e/o incitamento all'odio, è esplicitamente punita come reato con sanzioni carcerarie e/o pecuniarie. L’Olanda, inoltre, permette il matrimonio tra individui dello stesso sesso (prima nazione in Europa), l’adozione da parte di queste coppie e altri tipi di partnership e riconosce quelli contratti all'estero, agevolando le procedure di ricongiungimento familiare e le richieste di asilo o protezione internazionale; ha anche accolto l'obbligo comunitario di creare organismi per le pari opportunità, diretto a tutti i tipi di discriminazione. Il Paese, inoltre, incoraggia esplicitamente l’educazione e il dialogo per combattere gli atteggiamenti negativi verso l’omosessualità.
Per promuovere una cultura di rispetto e inclusione delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali (LGBT), i Paesi Bassi hanno adottato un documento politico dettagliato per il periodo 2008-2011, intitolato "Simply Gay". Costituisce un piano di azione nazionale che comprende 60 differenti misure, inclusi 24 progetti sponsorizzati da vari enti governativi per incrementare l'accettazione sociale e l'empowerment della LGBT.
I risultati di questa politica di rispetto e di inclusione sono verificabili da numerosi dati: il 95% della popolazione olandese crede che gay e lesbiche dovrebbero poter vivere come meglio credono, una percentuale simile (97%) si sentirebbe a proprio agio ad avere un vicino di casa gay. Il 68% afferma di avere amici o conoscenti LGBT (punteggio più alto in Europa, media europea 38%); inoltre, quando si è chiesto di indicare da 0 a 10 quanto si sentissero a proprio agio con una persona LGBT a ricoprire le più alte cariche dello stato, la popolazione olandese registra 8.2 punti (il 95% si sente a proprio agio con un politico gay), anche in questo caso il punteggio più alto in Europa, dove la media è del 6.5. Questa nazione, inoltre, è in prima posizione nell’accettazione del matrimonio tra omosessuali (82%) e adozione da parte di queste coppie (69%). Infine, il 70% degli olandesi pensa che la relazione di coppia omosessuale non sia affatto sbagliata (European Union Agency for Fundamental Rights, 2011;  Eurobarometer 66, 2007).
Il quadro generale che emerge da queste ricerche è che la popolazione dei Paesi Bassi è abbastanza positiva nei suoi atteggiamenti verso l’omosessualità: la percentuale di questi atteggiamenti negativi è declinata dal 15% nel 2006 al 10% nel 2010 (Keuzenkamp, 2010 e 2011). Confrontata con le altre nazioni europee, la popolazione olandese detiene il primo posto per quanto riguarda l’atteggiamento positivo verso l’omosessualità: soprattutto comparata con la maggioranza delle nazioni meridionali, l’atteggiamento nei Paesi Bassi è molto più positivo.
Secondo il rapporto 2006 dell’Ilga “Social exclusion of young lesbian, gay, bisexual and transgender (LGBT) people in Europe”, la maggioranza dei soggetti olandesi intervistati non riporta episodi personali di esclusione sociale in nessuno degli aspetti esaminati:

Fig. 4.1 – Confronto tra percentuali europee e olandesi di persone che hanno riportato episodi personali di esclusione sociale in differenti ambiti (Ilga, 2006).

Una delle ipotesi esposte nel report è che questa differenza sia il risultato dell’impatto delle politiche e dei programmi che sono stati messi in atto negli ultimi anni nei Paesi Bassi.


4.2 La situazione in Italia

La legge Mancino n. 205 del 1993 è la legge di riferimento in Italia per la tutela dalla discriminazione. In essa, sono esplicitamente elencate le categorie a cui si assicura protezione contro le discriminazioni: razza, etnia, nazionalità e religione. Dopo un lungo dibattito, fu scelto di non includere l'orientamento sessuale. Al momento della scrittura di questo testo, non esiste alcuna legislazione in Italia che protegge dall'omofobia, nonostante le numerose consultazioni parlamentari. L'unica rilevante eccezione è il decreto legislativo no.216/2003 in materia lavorativa che implementa la direttiva comunitaria 2000/78/CE, in cui l'orientamento sessuale è menzionato come uno dei motivi di discriminazione. La parte lesa tuttavia deve portare il caso davanti alla corte e pagarne le spese legali in caso di perdita.
Nel nostro Paese non esistono dati ufficiali sui casi di omofobia e transfobia in Italia. Nonostante l'obbligo comunitario di creare organismi di pari opportunità per risolvere i problemi di discriminazione sessuale o razziale, al momento l'Italia non ha nessun organismo ufficialmente funzionante (European Union Agency for Fundamental Rights (FRA), 2011). Gli unici dati sono rilevati da una delle principali associazioni sul territorio italiano, l’Arcigay, che ogni anno raccoglie un dossier di fonti di stampa che riportano casi di violenza, discriminazione e omicidi di matrice omofobica. È ragionevole pensare che i numeri del dossier sottostimino il fenomeno in quanto questo rimane sommerso e, come nei casi di violenza sessuale sulle donne, non denunciato per vergogna e timori (Prati et al., 2010). I dossier di Arcigay riportano che nel 2009 sono stati registrati 9 casi di omicidio, 45 di violenza e aggressioni, 5 di bullismo e 9 di atti vandalici; nel 2010 i casi di omicidio registrati sono stati 2, i casi di violenza 39, quelli di bullismo 2 e gli atti vandalici 8. Da gennaio 2008 a novembre 2010, 13 persone transgender sono state uccise (contro 2 in Germania e UK, 3 in Spagna e 1 in Portogallo).
Nel settembre 2009 Amnesty International ha pubblicato un report sulla situazione degli attacchi omofobici in Italia, sottolineando come sia i tentativi di omicidio che gli episodi di intolleranza e violenza verso la popolazione LGBT stessero crescendo tanto da destare la preoccupazione dell’organismo internazionale e le sue sollecitazioni alle autorità italiane per assicurare giustizia e sicurezza. Nello stesso periodo e per i medesimi violenti attacchi a sfondo omofobico un comunicato è stato prodotto dall’ILGA, l’organismo che promuove l’uguaglianza dei diversi orientamenti sessuali in Europa (AI, 2009; ILGA).
Secondo il report del FRA (2011, Part II), le autorità pubbliche italiane non hanno potuto o voluto garantire la sicurezza da attacchi di protesta durante dimostrazioni LGBT. Inoltre, tali incidenti sono spesso accompagnati da dichiarazioni pubbliche omofobiche o comunicati offensivi da parte delle stesse istituzioni. In maggio 2008 il Ministro delle Pari Opportunità Mara Carfagna ha rifiutato di dare il patrocinio al Gay Pride a Roma di quell’anno e si è dichiarata contraria all’equiparazione delle unioni tra persone con orientamento omosessuale a quelle tra persone con orientamento eterosessuale. L’Agenzia europea afferma che vi è una chiara sovrapposizione tra gli Stati membri dove le autorità hanno negato il permesso alle dimostrazione LGBT e il verificarsi di violenti attacchi omofobici.
Il Danish Institute for Human Rights (2009) ha stilato una relazione  dettagliata sull’omofobia e la discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale in Italia, sottolineando come la tendenza storica della legislazione italiana è caratterizzata da negazione piuttosto che da repressione dell'omosessualità. Sia le relazioni tra partner dello stesso sesso che l'omofobia rimangono invisibili alla regolazione dello Stato. Il sistema legale italiano manca di documenti, statistiche e casistiche sulla discriminazione in base all'orientamento sessuale. Non esiste alcun riconoscimento a livello nazionale delle coppie di fatto (etero e omosessuali) né accesso all'adozione da parte delle sopranominate coppie: il partner dello stesso sesso sposato in Belgio, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna e Svezia non viene riconosciuto in Italia, né vi è alcun riconoscimento legislativo in materia di coppie di fatto, impedendo l'attuazione della Libera Circolazione fra gli Stati raccomandata da EU. Nel Censimento della Popolazione e delle Abitazioni del 21 ottobre 2001 i dati raccolti a proposito di questa tipologia di coppia convivente furono spostati nella categoria “conviventi senza legami di parentela” in quanto difettose, per i responsabili statistici dell’ISTAT, di “troppe variabili aleatorie, come il rispetto della privacy, o la naturale discrezione di tanti omosessuali che preferiscono non rendere visibile la loro realtà” (resoconto stenografico Assemblea Costituente n. 461 del 4/5/2004, Parlamento in seduta comune e legislature repubblicane, pag. 14-17).
Diverse organizzazioni LGBT periodicamente si mobilitano sia per il riconoscimento legale delle coppie di individui dello stesso sesso, sia per l'adozione di una legge contro l'omofobia e la discriminazione, sottolineando l'influenza della Chiesa Cattolica nell'incoraggiare tali riconoscimenti. Numerosi studi hanno verificato la presenza di persecuzioni e bullismo nelle scuole e crimini d'odio quali aree di necessario intervento sociale (Danish Institute for Human Rights, 2009).
Numerosi sono i discorsi omofobici nei media registrati in Italia, dove i discorsi ispirati dall’odio sono considerati reati se espressi nei confronti di gruppi specifici e le persone LGBT non sono incluse tra questi. Ciò rende difficile applicare la legislazione a casi di omofobia.
Secondo i report europei (European Union Agency for Fundamental Rights, 2011;  Eurobarometer 66, 2007), quasi la metà degli italiani non crede che le persone omosessuali debbano vivere liberamente la loro condizione (45%), il 79% degli italiani non è d’accordo con l’affermazione “Considero la relazione sessuale tra due persone dello stesso sesso per nulla sbagliata”. Per quanto riguarda gli altri quesiti, il 69% della popolazione italiana non è d’accordo con l’estensione in tutta l’Europa del diritto di matrimonio fra partner dello stesso sesso, mentre sull’argomento “adozioni” la percentuale sale al 76%. Solo un italiano su tre afferma di avere amici gay e che si sentirebbe a proprio agio ad avere un vicino di casa omosessuale (rispettivamente 32% e 36%). Infine, il 27% degli italiani non si sentirebbe a suo agio con un rappresentante omosessuale alle più alte cariche pubbliche.

4.3 Confronto dei dati

Nella sua ricerca sull’accettazione dell’omosessualità in Europa, Keuzenkamp (et al., 2006) ha sviluppato quattro dimensioni attitudinali per valutare l’omofobia all’interno di una nazione: accettazione generale dell’omosessualità, parità di diritti e (anti)discriminazione, reazioni a pubbliche dimostrazioni (ad es. baci), reazioni all’omosessualità nei contesti familiari. La terza dimensione non ha ancora sufficienti dati di confronto europei. Il seguente grafico riporta quindi i dati percentuali a disposizione e precedentemente esposti e suddivisi secondo le dimensioni della Keuzenkamp:




Fig. 4.2 – Confronto tra le risposte di soggetti italiani e quelle di soggetti olandesi alle domande di opinione in merito a diversi ambiti spiegati nella Tab. 4.1 (Keuzenkamp 2006).



Legenda dei dati riportati in Fig. 4.2
Accettazione generale:
Vita: Le persone omosessuali non dovrebbero essere libere di vivere la loro condizione.
Sesso: Considero sbagliata la relazione sessuale tra due persone dello stesso sesso.
Politica: Non mi sento a mio agio con un leader politico gay.

Parità di diritti:
Matrimonio: Il matrimonio tra omosessuali non dovrebbe essere permesso in Europa.
Adozioni: L’adozione da parte di coppie omosessuali non dovrebbe essere permessa in Europa.

Contesti familiari:
Vicino: Non mi sentirei a mio agio con un vicino di casa omosessuale.
Amici: Non ho amici o conoscenti gay.
 

        In uno studio portato avanti dal World Values Survey in oltre 80 Paesi (2006), è stata chiesta l’opinione su quanto l’omosessualità era ritenuta giustificabile dagli intervistati. La risposta è stata data in una scala che va da 1 (mai giustificabile) a 10 (sempre giustificabile). Per oltre la metà degli italiani l’omosessualità non è mai giustificabile, contro il 16% degli olandesi. I punteggi medi dati dai partecipanti sono indicati nel seguente grafico:


Fig. 4.3: Livelli di giustificabilità dell’orientamento sessuale per nazionalità.




PS-Questo post è una rielaborazione di una parte della mia tesi. Sarò disponibile a fornire tutti riferimenti bibliografici a chi ne farà richiesta.
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...